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A Trento nella famiglia Acler molti si sono ammalati di coronavirus, ma tutti sono guariti. Quale è l'eredità di un agente patogeno con un nome regale?

 

È la sera del 4 marzo. Non è ancora esplosa la pandemia da coronavirus. Ci alziamo per riordinare la cucina ma, nonostante la buona volontà, questa sera la cucina deve rimanere tale e quale perché, appena spostato qualche piatto, incomincio a star male: da un momento all’altro inizio a tremare come una foglia, segno che la classica influenza si sta avvicinando. Ma durante la notte, con la febbre che sale, il pensiero va costantemente all’ ipotesi coronavirus, quella che, per prudenza, scaramanzia, o semplicemente per non allarmare nessuno, era rimasta celata nella nostra mente.

Positivo al coronavirus

Il consulto col medico del giorno dopo non dà alcuna certezza: per sapere cosa stia accadendo ad entrambi occorrerebbe fare il tampone, ma la procedura non lo prevede, anche se i sintomi ci sono tutti. Qualche giorno dopo anche nostro genero Sergio presenta gli stessi sintomi, in maniera molto più grave. L’azienda sanitaria dispone che lasci l’abitazione per raggiungere i genitori, pure loro febbricitanti, anche per alleggerire sua moglie Chiara, che deve prendersi cura della neonata Aurora. A seguito dell’acuirsi della malattia di Sergio si rende necessario il ricovero: le lastre evidenziano una polmonite. Poi il tampone. E arriva quell’esito che non vorresti sentirti dire: positivo al coronavirus.

Su 14 in famiglia, 10 ammalati

Può comunque tornare a vivere con i genitori, seguito dai medici a domicilio. Chiara rimane quindi da sola con la piccola e deve gestire, con non poche difficoltà, la nuova situazione: accudire la neonata in un momento in cui avrebbe avuto particolarmente bisogno di aiuto, procurarsi il cibo e affrontare gli inevitabili momenti di sospensione. Ma non solo Chiara, pure le sorelle, con i relativi mariti e figli, devono rimanere in quarantena, anche se presentano soltanto sintomi lievi. Su 14 persone del nostro nucleo familiare ci ammaliamo in 10.

Le difficoltà della vita quotidiana

Alla sospensione per la salute di tutti, soprattutto dei più gravi, si aggiunge dunque la difficoltà di convivere con una nuova situazione logisticamente complicata: chi va a fare la spesa? Chi si reca in farmacia se tutti siamo in quarantena? Inizialmente solo uno può muoversi e puntiamo tutto su di lui. Ma poi la quarantena si estende pure a lui, e la cosa si complica ulteriormente.

Tanti amici ci aiutano

Stiamo cercando di capire come organizzarci quando arriva una telefonata di Chiara che ci dice di aver trovato fuori dalla porta un buon pranzetto fatto da Giovanna, una nostra amica che abita vicino a lei.  E quello è solo l’inizio perché la sera arriva pure la cena, dopo qualche giorno nuovamente il pranzo, e così via… L’inizio della giornata è sempre all’insegna dell’incertezza: si accende il cellulare per avere subito notizie, per sapere come gli ammalati hanno trascorso la notte, nella speranza che le novità siano positive. Speranza a volte disattesa, a volte mitigata dalla notizia di qualche timido miglioramento. Ma è in situazioni come queste che ti accorgi di avere tanti amici che ti sono vicini, che si ricordano di te e pregano tutti i giorni.

Resilienza e pazienza

La sospensione quotidiana rimane, non scompare miracolosamente anzi, dopo un po’ ti accorgi che fa parte del gioco. E decidi di non darle troppo peso, di non lasciarle prendere il sopravvento, convinto che le preoccupazioni ti portano su terreni inesistenti: il passato «come è entrato il virus in famiglia?». E il futuro: «Come evolverà?». E per non vivere nell’irrealtà decidi di buttarti nel presente: unica vera certezza. Lo testimonia il motto che in quei giorni coinvolge un po’ tutti noi: “resilienza e pazienza”.

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Messaggi dalla scuola

Il giorno in cui Chiara finisce la quarantena, passando per la farmacia, si reca dal marito per portare il farmaco. I due si possono salutare per un attimo al di là del vetro della finestra di casa dove Sergio prosegue la quarantena che terminerà soltanto dopo il doppio tampone negativo. Anche per mia moglie Michela arriva l’ora dei raggi a seguito dell’aggravarsi della situazione. Giunti al pronto soccorso la devo lasciar entrare da sola senza sapere quello che succederà. Il quadro clinico complessivo non prevede il ricovero e per fortuna Michela può tornare a casa e mantenere come può i contatti con gli alunni e i colleghi della scuola, ai quali racconta la sua situazione, anche per giustificare la lunga assenza che aveva preoccupato i più.  Dai ragazzi riceve alcuni messaggi: «…Prof la ringrazio molto per il saluto che ci ha fatto oggi»…«Prof ma come si fa ad avere sempre il sorriso nonostante la situazione così?». «Mi sono commossa a sentire che cosa state passando in questo momento…». «Il fatto che riusciate a vedere sempre il lato positivo in questa situazione mi ha fatto riflettere molto…». E la Dirigente della scuola: «Anche in queste occasioni Lei, in silenzio, senza imporre niente a nessuno, testimonia la sua grandissima fede».

Finalmente liberi

Dopo un lungo periodo di malattia e quarantena finalmente posso uscire: c’è il sole, mi metto al volante e ascolto pure la musica. Non mi ricordo che fosse così bello uscire. Rallento per fare in modo che il viaggio duri, per godermelo più a lungo. Eppure, quante volte in passato sono uscito, in macchina o a piedi, per fare la spesa! Come mai non mi sono mai accorto che fosse così bello?  È la magia di questo momento, la parte luminosa del virus: riscoprire e dare il giusto valore a tutte le cose, anche le più piccole, quelle che non ci accorgiamo di avere e che diamo spesso per scontate.

La vera fase 2

Nella coda fuori dal supermercato faccio fatica a riconoscere le persone che indossano la mascherina.  Devo far lavorare un po’ la fantasia perché, non avendo a disposizione l’intero viso, posso riconoscerle solo dagli occhi. E questa volta sono costretto a far sì che gli sguardi si incontrino, dando luogo a un rapporto più vero, sincero e profondo. Forse questo è ciò che ci attende in quella che tanti chiamano “fase due”, poi forse “fase tre”, e in tutte le fasi che si susseguiranno: uno sguardo non verso l’altro, ma dentro l’altro, per arrivare a un’amicizia più vera e una comunione profonda: è l’eredità di uno strano virus con uno strano nome.

Guarigione

E proprio oggi Sergio ha ricevuto l’ultimo esito dell’ultimo tampone. È guarito. Dopo 51 giorni di contagio da coronavirus torna a casa e può riabbracciare la moglie Chiara e la figlia Aurora.

 CITTÀ NUOVA

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