E così i reparti Covid hanno riaperto. In fretta, e in fretta si sono riempiti a dismisura. «Vero che non è come marzo?».

Chissà perché abbiamo sempre bisogno di risposte consolatorie, di fronte alla nuova emergenza che tanti hanno cercato e cercano di negare.

A volte per paura, a volte per ideologia. Ma dopo i primi giorni la risposta che più sarebbe sincera sarebbe: no, non è come marzo: è peggio di marzo!

È peggio di marzo perché siamo tutti più stanchi.

È peggio di marzo perché allora affrontavamo tutti uniti un’emergenza, ora ci sentiamo traditi e offesi vedendo tutto ciò che non è stato fatto per potenziare la sanità, la scuola, i trasporti, i servizi.

È peggio di marzo perché siamo stufi di gente senza memoria che ieri manifestava senza mascherina e oggi dice che bisognava fare di più. Sulla pelle di quelli che anche grazie a loro e alle loro insulse manifestazioni oggi sono nelle Terapie Intensive e nelle Rianimazioni.

È peggio di marzo perché continuiamo a vedere anziani morire soli, senza uno straccio di progetto che permetta ai loro congiunti di poterli accompagnare in sicurezza.

È peggio di marzo perché continuiamo a vedere giovani che stanno malissimo, alla faccia di chi pontifica che «tanto riguarda solo gli anziani poli-patologici» (come se gli anziani valessero di meno e questo fosse consolatorio).

È peggio di marzo perché continuiamo a chiederci perché l’assistenza territoriale sia stata così massacrata e perché sia stato smantellato anche quel poco che a marzo era stato in fretta e furia approntato.

È peggio di marzo perché sono stati scritti dei bellissimi documenti sulla cura del fine vita e sulla medicina palliativa, ma ci troviamo a lavorare in reparti dove è complicato trovare una fiala di morfina e, almeno nella mia Regione, che io sappia, in tutti questi mesi non sono stati capaci di organizzare un solo hospice dedicato ai malati più gravi che moriranno con il Covid o per il Covid.

Così ci rendiamo conto che ci stiamo ammalando anche noi: non dico “solo” di Covid (ormai il numero di operatori positivi è altissimo, ma per farsene una ragione basta vedere il tasso di imbecillità nelle strade, nei locali, nelle sale d’attesa, nei ritrovi).

Siamo ammalati di un malessere diffuso, che pesa come un macigno, che ci sembra individuale, ma che poi ritroviamo identico nel collega, nell’amico, nel familiare, nei pazienti affetti da “altre” gravi patologie che non siano il Covid. O nei nostri anziani rinchiusi ancora una volta in casa.

Si chiama “Pandemic Fatigue”: ne è affetto il 60% degli europei secondo alcune stime. In particolare la fascia di età dei 50-60enni, quelli che sono schiacciati dalla preoccupazione per i genitori, i figli, il lavoro, la propria salute. È una vera e propria malattia sociale, che lascerà danni a lungo termine, se non opportunamente curata.

E così, ancora una volta, torna prepotentemente la necessità della cultura della curauna malattia sociale si può curare solo in una dimensione sociale, di reciprocità. La cultura della Fratelli Tutti di papa Francesco, in cui tutto questo è magnificamente proposto e reso organico su scala planetaria e universale.

Lo hanno capito i giovani dello United Word Project, che già da tempo lavorano al progetto Dare to Care osare la cura come sfida generazionale e planetaria.

Lo ha suggerito un bell’articolo del Corriere della Sera che ha il pregio di fare proposte concrete e immediatamente realizzabili invece che polemiche o futuristiche dichiarazioni di intenti.

Lo testimonia e porta avanti con determinazione la pagina facebook del Centro di Promozione Cure Palliative della Rete Oncologica Piemonte e Valle d’Aosta, che grazie all’instancabile attività di Marina Sozzi continua a costruire reti di relazioni positive, in questo momento in cui sono proprio le relazioni personali quelle che più mancano e ci mancano.

Bellissimo l’ultimo webinar dedicato alle realtà del Terzo Settore: così dimenticate nel tempo della pandemia, ma così assolutamente indispensabili, per la forza dello “stare” e non solo del “fare”, per uscirne fuori tutti insieme con una nuova idea di futuro.

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