Il numero di risorse di terapia intensiva e di posti letto di isolamento tra poco potrebbe essere di molto superiore alle disponibilità del nostro Paese.

 Si sta cercando di correre ai ripari. Scenari difficili da prevedere. Sconfiggere anche il virus dell’individualismo.

Negli ultimi giorni lo scenario dell’epidemia si fa purtroppo sempre più fosco; il conteggio dei casi ha assunto la forma di una crescita esponenziale e ci indica che le misure di contenimento della prima fase non hanno funzionato come sperato.

A ciò si aggiunge l’evidenza di un numero inatteso di persone tutt’altro che anziane (per lo più fra i 50 e i 60 anni) che sviluppano quadri clinici complicati e che richiedono un impegnativo sostegno respiratorio in terapia intensiva. Casi del genere sono noti anche fra pazienti più giovani (per fortuna attualmente non se ne contano fra i giovanissimi).

Infine c’è da considerare quello che già sapevamo, in merito alla notevole contagiosità e alla mortalità; questa cresce molto nelle fasce d’età più avanzate della popolazione e fra coloro che hanno già malattie croniche e fragilità cliniche.

Mettendo insieme queste semplici evidenze appare chiaro che il mantenimento dell’attuale andamento dell’epidemia da coronavirus richiederà presto un numero di risorse di terapia intensiva e di posti letto di isolamento di molto superiore alle disponibilità del nostro Paese.

A questo proposito si è esposta la Società italiana di anestesisti e rianimatori, secondo cui all’arrivo in ospedale di due pazienti in condizioni critiche, si privilegia la “maggior speranza di vita”. I parametri di intervento sono diventati: il tipo e la gravità della malattia, la presenza di comorbilità, la compromissione di altri organi e apparati e la reversibilità. Addirittura esplicitano che «può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva».

Si sta cercando naturalmente di correre ai ripari: si mettono in campo risorse, si cercano medici, si riconfigurano reparti e si aprono ovunque posti aggiuntivi. Abbiamo un sistema sanitario forte, ma anche notevoli fragilità (come l’età media elevata del personale, che in queste circostanze è una vera spada di Damocle, e la disparità di risorse fra le diverse aree del Paese).

È realistico il timore che, se la situazione dovesse peggiorare, possano non essere garantite le attività che siamo abituati a dar per scontate: potrebbe essere impossibile, per esempio, assistere adeguatamente un paziente che sviluppa un ictus o un infarto.

Insomma gli scenari che abbiamo davanti non sono facili da prevedere: la partita sarà lunga, difficile e dall’esito quanto mai incerto. Molto, moltissimo dipende dall’adesione di ciascuno di noi ai comportamenti corretti. Mai come questa volta, nella storia recente dell’umanità, ci si salva solo tutti insieme.

Tutti si domandano come sia potuto succedere. Molti pensano che non sia una domanda per ora, e che ci sarà un altro tempo, per scrivere la storia, analizzare i retroscena, valutare le scelte con il senno di poi. In linea di massima sono d’accordo: non si guarda un fenomeno così complesso nella sua interezza, se non dalla distanza adeguata. Ma credo lo stesso che qualcosa possiamo già impararlo; ed è una cosa che può salvarci.

C’è un altro nemico che ci sta sconfiggendo; una peste, un contagio, che attraversa la società da molto tempo. Era già qui quando è arrivato il coronavirus; ma io spero, mi sforzo di credere, che potremmo liberarci di entrambi e che se ne andranno insieme. È il virus dell’individualismo, della cultura dell’io. È lo stesso germe che circola nei social e nelle chat dei genitori, nei talkshow, nei proclami dei politici. Si manifesta con la violenza, l’intolleranza, la più ottusa indifferenza verso gli altri, vicini e lontani, sconosciuti o familiari.

È questo il patogeno che ci sta uccidendo: il suo contagio ci fa agire da irresponsabili, come fa chi evade dalle zone di quarantena, chi organizza party affollati o cene con gli amici quando ha sintomi da raffreddamento, chi ha ignorato le regole che ci avrebbero permesso di risparmiare sofferenze e vite umane. È da quello che dobbiamo guarire: perché altrimenti non ci sarà modo di vincere l’altra battaglia, che tutto sommato è ancora quella più semplice.

Come fare? In questo caso le cure efficaci e il “vaccino”, per fortuna, ci sarebbero.

Basterebbe fermarci a riflettere, insieme, su quei valori che sembriamo aver dimenticato: l’amore verso il prossimo, il senso del dovere e del sacrificio, la tolleranza, il rispetto. Saranno forse semplici, piccolissimi anticorpi, ma che possiamo moltiplicare a migliaia, a milioni; come nella realtà, loro possono rapidamente curare il corpo della nostra società dalla più virulenta delle infezioni.

Spartaco Mencaroni

FONTE: CITTÀ NUOVA

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