Messaggio di Chiara LubichSono lieta di rivolgere un saluto e un augurio a quanti sono convenuti
in questo Congresso per approfondire il tema della Comunicazione e
Relazionalità in Medicina.
Permettetemi di offrire un pensiero spirituale attinente a questo tema.

 

Quanto posso dire non nasce certamente da conoscenze mediche, ma
dall’esperienza di oltre 60 anni in cui, sotto l’azione di uno speciale dono di
Dio, riconosciuto come “carisma dell’unità”, ho visto il comporsi di una
comunità di persone, delle più varie provenienze, che hanno formato, in
certo modo, un piccolo “popolo”, vivente tra tutti i popoli della terra, ben
caratterizzato per aver fatto dell’amore reciproco la legge fondamentale della
propria vita, testimoniando così che è possibile stabilire interrelazioni che
trovano nella reciprocità la loro massima espressione.

Ogni essere umano sente il bisogno di essere amato e di riversare
sugli altri l’amore ricevuto. Siamo stati creati, infatti, in dono gli uni per gli
altri e realizziamo questo nostro essere impegnandoci ad amare a nostra
volta ogni uomo con quell’amore che viene prima di ogni risposta d’amore
dell’altro.

Quando, poi, questo amare per primi è vissuto insieme da due o più
persone si ha l’amore vicendevole, un amore cioè capace di far sì che i
rapporti tra le persone siano tali da superare ogni difficoltà, ogni ostacolo; un
amore che porta a vedere l’altro come un altro se stesso, onde comprenderlo
fino in fondo e aiutarlo concretamente; un amore capace di farci scoprire
fratelli gli uni degli altri, quindi tutti protesi al bene della famiglia umana.
In una parola, un amore che genera fraternità, innescando un
processo di rinnovamento in ogni ambito della società.
La nostra esperienza ci dice che questi rapporti fraterni vissuti nella
quotidianità della vita personale, familiare e professionale possono liberare
risorse inaspettate. Nascono relazioni nuove, piene di significato, che
suscitano le più varie iniziative a beneficio del singolo e della comunità. 2.
E ciò vale anche per il delicato mondo della medicina.
Il lavorare proprio in questo ambito dà, infatti, la possibilità di amare il
prossimo in un crescendo di carità che va rivolta a tutti; una carità che non è
mero sentimentalismo, ma concreto agire, sempre attento alle necessità del
momento; una carità capace di instaurare con tutti un dialogo profondo che,
se vissuto da più, genera comunione, unità.
Ma come generare la comunione in un mondo spesso dominato dalla
difficoltà dei rapporti, dalla logica del conflitto?
Come realizzare l’unità, rendendola effettiva nel quotidiano?
La potremo realizzare vivendo anche noi quel comandamento di Gesù
che Egli stesso non ha esitato a definire “suo” e “nuovo”: “Come io vi ho
amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,14; 15,12).
E’ proprio questo amore reciproco, vissuto sulla misura dell’amore di
Gesù per noi, fino all’abbandono e alla morte sulla croce, che ci garantisce
l’unità.
Il suo abbandono è stato il vertice della sua passione, il culmine, la
sintesi di tutti i suoi dolori, del corpo e dell’anima. E’ stato il dramma di un
Dio che si sente abbandonato da Dio. E’ lì che Egli sperimenta la più abissale
separazione che si possa pensare: prova, in certo modo, la divisione dal
Padre suo con il quale è e resta uno.
Ma è proprio gridando in croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai
abbandonato?” (Mt 27,46; Mc 15,34 ) e rimettendosi nelle mani del Padre
con un supremo atto d’amore, che Egli si fa “medicina” di ogni dolore
dell’anima e sollievo di ogni dolore del corpo. E’ lì che Egli dona a tutti gli
uomini l’unità con Dio e tra loro, divenendo così il modello del superamento
di ogni disunità.
Ed è perciò guardando a Lui, Gesù abbandonato, che riusciamo a
superare ogni difficoltà e a costruire rapporti di reciprocità, di unità gli uni
con gli altri.
Auguro a ciascuno dei presenti di essere uomini e donne capaci di far
nascere e crescere una medicina secondo il cuore di Dio e che questo
Congresso sia di stimolo e impegno rinnovato nel lavorare per costruire
rapporti veri di fraternità, così che l’impegno culturale sia supportato da
un’autentica esperienza di vita comunitaria.

Roma, 16-17 febbraio 2007
(Auditorium Policlinico A.Gemelli)

 

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