Come potete vedere circa il 66% dei ricercatori da noi raggiunti ha lavorato ad almeno un progetto finanziato da una casa farmaceutica e, in una buona percentuale di casi, ma non in tutti,  questo rapporto è stato vissuto senza particolari ingerenze da parte dell’azienda sponsor.
Abbiamo anche voluto vedere se per caso la sponsorizzazione di congressi o l’invito ad effettuare relazioni in convegni scientifici da parte delle aziende potesse influenzare in qualche modo l’agire dei nostri ricercatori. Dalla nostra indagine risulta che in realtà sono poche le persone che beneficiano di tali opportunità e che tra queste prevale la percezione che tale beneficio non influenzi l’obiettività del ricercatore.
Veniamo ora ad un nuovo aspetto. Non parliamo solo di etica nella sperimentazione del farmaco, ma anche di etica nel modo in cui i farmaci vengono presentati e commercializzati.
Il finanziamento di programmi di ricerca e di produzione della conoscenza scientifica è diventata un strategia fondamentale di marketing per l’industria. La ricerca farmaceutica è condizionata dalla necessità di combattere specifiche patologie e di legittimare scientificamente l’utilizzo dei farmaci, attraverso ricerche che in maniera scientifica e appropriata dimostrino l’efficacia di nuovi farmaci per la specifica indicazione in questione. Per questo bisogno, e con lo scopo di influenzare le vendite, l’industria farmaceutica ha sviluppato molteplici strategie, oggi definite come disease-mongering, ovvero mercificazione della malattia.
In uno studio del 2006, Payer ha identificato dieci tecniche per manipolare i risultati di una ricerca scientifica (4). Non possiamo soffermarci su tutte, ma ne citiamo solo alcune, con relative esempi.
1° esempio: PFIZER E VIAGRA
Il viagra rappresenta un classico esempio di disease mongering, in cui, sotto lo stimolo rappresentato dall’interesse economico dalle aziende farmaceutiche, un farmaco sviluppato per persone con un reale problema medico è stato venduto ad una popolazione molto più ampia e perfettamente sana. La campagna finanziata dalla Pfizer ha avuto come primo scopo quello di rendere la gente sempre più consapevole del problema della disfunzione erettile, considerando, almeno inizialmente, il Viagra con un’unica indicazione, ovvero il trattamento di una patologia. Successivamente l’industria farmaceutica in questione ha spostato la sua attenzione su tutti i consumatori, ampliando così il mercato... e il risultato è quello che tutti conosciamo. Quello che noi ci chiediamo è: se le scarse risorse economiche vengono utilizzate per farmaci o procedure che sono utili, ma non indispensabili, come possono altre terapie essere finanziate in maniera adeguata? E vedremo tra poco quante patologie, solo per il fatto di non interessare il mondo occidentale o di coinvolgere una piccola fetta della popolazione non ricevono adeguati finanziamenti (5).
2° esempio: “pandemia” della influenza da H1N1
Il secondo caso di disease- mongering è altrettanto famoso e, direi, spinoso … a denunciarlo è stato Wolfgang Wodarg, il presidente tedesco della commissione Sanità del Consiglio d'Europa, che ha accusato le industrie farmaceutiche di aver influenzato la decisione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di dichiarare la pandemia nel corso della diffusione, nello scorso anno, del virus H1N1 (6). Wodarg, medico ed epidemiologo, ha denunciato le multinazionali del farmaco di aver accumulato "enormi guadagni" senza alcun rischio finanziario, mentre i governi di tutto il mondo prosciugavano i magri bilanci sanitari spendendo milioni nell'acquisto di vaccini contro un'infezione che in realtà era poco aggressiva. Wodarg ha fatto approvare una risoluzione nel Consiglio d'Europa che chiedeva un'inchiesta sul ruolo delle case farmaceutiche. Nello scorso giugno il Consiglio d’Europa si espresso in merito affermando che “L'allarme sulla pandemia di influenza A/H1N1 è stato uno spreco di denaro pubblico e un ingiustificato allarmismo sui rischi corsi dai cittadini europei”. Nel documento si critica duramente la gestione della pandemia da parte dell'Oms, ma anche delle agenzie dell'Ue e dei governi nazionali. Il Comitato ha evidenziato la grave mancanza di trasparenza nel processo che ha portato alla dichiarazione della pandemia nonché nella diffusione delle informazioni necessarie per fugare i dubbi sul conflitto di interesse di alcuni esperti che collaborano con l'Oms e altre istituzioni ma allo stesso tempo anche con le industrie farmaceutiche produttrici del vaccino.(7)
L’interesse economico spinge alla sponsorizzazione di studi e articoli scientifici allo scopo di diffondere conoscenze che inducano alla vendita di specifici prodotti farmacologici. A questo scopo, spesso le aziende investono più sulla quantità di pubblicazioni, che non sulla qualità delle stesse. Vi è, inoltre, una tendenza ad enfatizzare quegli studi che abbiano avuto un esito positivo, piuttosto che quelli in  cui il farmaco sponsorizzato non abbia dimostrato un’efficacia o una sicurezza pari ad altri già commercializzati.
3° esempio: gabapentin
Il disegno dei trial clinici richiede la necessità di specificare gli obiettivi primari e secondari dello studio. Sebbene possa essere legittimato un cambiamento degli obiettivi primari nel corso dello studio, una buona pratica della ricerca prevede che la procedura con cui vengono prese tali decisioni, il tempo dell’eventuale cambiamento e le ragioni del cambiamento siano chiaramente documentate in un protocollo e nel piano di analisi statistica e che tali cambiamenti siano descritti nei report pubblicati del trial. Tutte le modifiche effettuate agli obiettivi primari dopo il completamento dei test statistici costituisce un bias di comunicazione  dei dati (reporting bias), specialmente quando questo venga fatto al fine di documentare risultati apparentemente positivi quando l’analisi degli outcome primari non aveva dato buoni risultati. Sebbene sia stato descritto che reporting bias si verificano indipendentemente dalla fonte dei finanziamenti, essi sembrano essere molto più frequenti in studi finanziati dalle case farmaceutiche. Riportiamo l’esempio del gabapentin (Neurontin, Pfizer), di cui Vedula ed altri hanno esaminato i clinical trial cui l’azienda ha fatto riferimento per sostenere il suo uso per la profilassi dell’emicrania, per i disordini bipolari, per il dolore neuropatico e nocicettivo (8). Gli outcome descritti nei lavori pubblicati sono stati comparati con quelli descritti nei documenti di ricerca interni della casa farmaceutica finanziatrice. Più della metà degli studi inclusi nell’analisi non era stato pubblicato in versione completa. In 7 dei 9 trials che erano stati pubblicati per intero, era stato riportato un outcome primario statisticamente significativo e per più della metà di questi l’outcome primario specificato nel report pubblicato differiva da quello originariamente descritto nel protocollo. Frequentemente si osserva anche una differenza tra gli outcome secondari presenti nell’articolo pubblicato e nel protocollo originario. Vedula ha evidenziato come tutte le modifiche apportate fino alla presentazione del farmaco, hanno avuto come risultato finale quello di consegnare alla letteratura medica l’efficacia del gabapentin per indicazioni non approvate. Desta particolare allarme il riscontro che l’outcome primario (ovvero la misura principale dell’efficacia del farmaco in tali indicazioni) è stato spesso riportato inaccuratamente. Altri  studi, condotti da diversi autori per differenti farmaci, hanno dimostrato gli stessi bias e naturalmente, la presenza di queste ambigue pratiche di pubblicazione dei dati non incontra standard etici per la ricerca clinica e pone seri dubbi sulla capacità di mantenere l’integrità della conoscenza scientifica.
Grande importanza, ai fini della conoscenza scientifica, riveste anche l’informazione scientifica sul farmaco, con particolare riferimento al rapporto tra medici ed informatori scientifici. La qualità dell’informazione dipende molto dalla qualità del rapporto tra informatore e medico, nonché dalla onestà con cui vengono riportati i dati. Contribuiscono all’aggiornamento anche convegni organizzati da uno o più case farmaceutiche. Ci siamo chiesti se fosse percezione comune (oltre che la nostra) quella di assistere a convegni che in maniera più o meno evidente, avessero come scopo quello di promuovere o sponsorizzare farmaci o device medicali.

Documenti più scaricati

Questo sito utilizza cookie tecnici, anche di terze parti, per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del sito. Chiudendo questo banner, o continuando la navigazione, accetti le nostre modalità per l’uso dei cookie. Nella pagina dell’informativa estesa sono indicate le modalità per negare l’installazione di qualunque cookie.