DEFINIZIONE E PRINCIPI
Tutti i documenti sulla professionalità medica pubblicati recentemente tentano anzitutto di definirla. Il Manuale Etico dell’American College of Physicians (Snyder) punta su tre elementi per caratterizzare la professionalità medica: la conoscenza, che dev’essere trasmessa ed estesa, l’etica che si incarna nel dovere di servire i pazienti al di là dei propri interessi e, d’altra parte, il “privilegio” dell’autonomia normativa, che la società garantirebbe alla classe medica. L’uso del condizionale è spontaneo per chi vive nel contesto europeo od almeno in quello italiano, dove quest’autonomia è progressivamente erosa da parte di autorità regolatorie spesso del tutto estranee al mondo della medicina.
Il Working Party on Medical Professionalism del Royal College of Physicians britannico (RCP) sottolinea che il comportamento del medico, ed i valori ai quali esso si ispira, devono influenzare soprattutto la relazione che egli instaura ed ispirare la fiducia della società nel singolo medico e nel corpo dei medici nel suo complesso. Questa fiducia, per le Istituzioni europee e nordamericane che hanno redatto la Carta della Professionalità Medica (MPP), assume il valore di un vero contratto sociale, che si fonda su tre principi fondamentali: il primato del benessere del paziente, la sua autonomia e la giustizia sociale. Ecco affiorare il tema dell’equità in medicina, che tenteremo di affrontare anche in questo congresso.
Dai principi generali derivano i doveri professionali, che la Carta della Professionalità Medica (MPP) enumera in: competenza tecnica, onestà, riservatezza, rispetto, perfezionamento continuo, attenzione all’impiego delle risorse (ecco che il contributo ad una medicina sostenibile entra a far parte del profilo professionale del medico), promozione della conoscenza, integrità, correttezza e disponibilità alla valutazione del proprio operato.
Ne emerge un complesso deontologico rigoroso e dal sapore piuttosto normativo. C’è chi ha criticato questa impostazione, sottolineando che il comportamento professionale non può reggersi soltanto sul senso del dovere, ma deve poggiare su valori interiori profondi, che l’autore non ha remore a definire “virtù” (Swick). Solo da questa radice può derivare il disinteresse.

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