La medicina oggi: sfide, opportunità, criticità e prospettivee prospettive. La sfida più ardua è quella di riuscire a delineare in sintesi la realtà che la medicina, intesa nel significato più ampio del termine, rappresenta nel mondo attuale.Un aspetto fondamentale riguarda certamente le caratteristiche intrinseche alla pratica medica nel contesto odierno, ma un'altra prospettiva altrettanto importante e strettamente connessa al precedente attiene ai diversi contesti e alle modalità con cui la medicina si esplica: l’organizzazione sanitaria, l’insieme di persone, istituzioni, risorse finalizzate a tutelare la salute di una popolazione.

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 Nel giugno dell’anno in corso, è stato presentato all’ONU un rapporto sulle prospettive per la popolazione mondiale che - attualmente stimata in 7,2 miliardi - prevede un incremento di quasi 1 miliardo di persone nei prossimi dodici anni, raggiungendo 8.1 miliardi nel 2025 e 9.6 miliardi entro il 2050.

Il rapporto evidenzia che la popolazione delle regioni sviluppate rimarrà sostanzialmente invariata a circa 1,3 miliardi di persone da qui al 2050. Al contrario, i paesi meno sviluppati sono proiettati a raddoppiare la loro popolazione attuale passando da circa 5,9 miliardi a 8,3 miliardi nel 2050.
Un ruolo importante nelle trasformazioni demografiche dei singoli Paesi è stato e sarà svolto dalle migrazioni internazionali. Rimane comunque un dato incerto poiché molti fattori possono condizionarle: politiche migratorie dei Paesi di accoglienza e di partenza, opportunità economiche, rifugiati, ecc.
Un altro aspetto riguarda l‘urbanizzazione: si prevedono straordinarie trasformazioni strutturali, quali la nascita delle mega-cities (10-20milioni di abitanti) e delle hyper-cities (20-40milioni di abitanti) prevalentemente nei Paesi in via di sviluppo. Come negli anni Settanta si è assistito alla migrazione della popolazione dalle aree rurali alle città, così in futuro si verificherà sia un inglobamento delle città in grandi agglomerati urbani senza soluzione di continuità, sia un passaggio di persone dalle città di media dimensione alle mega-cities e hyper-cities. Si prevede che nel 2050 la popolazione globale urbana potrebbe raggiungere i 6 miliardi sui 9.3 miliardi previsti, 2 persone su 3, quindi, risiederanno nei centri urbani. Invece, la stima per il 2050 della popolazione rurale prevede una debole decrescita passando da 3,2 miliardi nel 2010 a 3 miliardi nel 2050. L’aumento della popolazione mondiale, quindi, riguarderà prevalentemente le aree urbane: un quadro completamente diverso da quello vissuto nel periodo precedente, in cui gli abitanti delle zone rurali risultavano essere ancora prevalenti, nonostante la crescita della popolazione riguardasse soprattutto le aree urbane.
Per quanto riguarda l'aspettativa di vita, è prevista in aumento sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. Oggi risulta essere superiore agli 80 anni in 33 nazioni. L’aspettativa di vita tra il 2010 e il 2015 è di 78 anni nei paesi sviluppati e di 68 anni in quelli in via di sviluppo. Entro il 2045-2050 si stima un aumento a 83 anni nelle regioni sviluppate e a 74 anni in quelle in via di sviluppo. A livello globale, si prevede di raggiungere mediamente i 76 anni nel periodo 2045-2050 e di 82 anni nel 2095-2100.


 

L’invecchiamento della popolazione
La maggiore durata della vita e la parallela diminuzione del numero dei figli hanno portato a un progressivo invecchiamento della popolazione. Invecchiamento che riguarda tutte le aree geografiche e tutte le nazioni, pur con tempi diversificati. Il mondo si trova quindi di fronte ad una transizione demografica denominata invecchiamento globale.
Nel 2050 per la prima volta ci saranno più persone anziane che ragazzi sotto i 15 anni. In Italia in base ai dati già oggi ogni 147 over-65 ci sono 100 under-15.
Il recente rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione definisce l’invecchiamento della popolazione come uno dei fenomeni più significativi del XXI secolo, che non può più essere ignorato e che comporta conseguenze importanti in tutti i settori della società.
Una longevità sempre in aumento è uno dei grandi successi dell’umanità. Si vive più a lungo grazie a migliori alimentazione, igiene, cure mediche, benessere economico, istruzione, progressi nei settori della ricerca e della scienza.
Questa transizione demografica pone grandi sfide sociali, economiche e culturali agli individui, alle famiglie, alle società e alla comunità globale, suscitando grandi preoccupazioni. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nella prefazione al Rapporto evidenzia che “le conseguenze sociali ed economiche di questo fenomeno sono profonde e vanno ben al di là del singolo anziano e della sua famiglia, dato che coinvolgono la società e la comunità globale come mai prima d’ora”. E tuttavia si offrono anche nuove opportunità: per affrontare le sfide, ma anche per cogliere le opportunità connesse all’invecchiamento della popolazione, vanno pensati nuovi approcci nell’organizzazione delle società, del mondo del lavoro e dei rapporti sociali e intergenerazionali.
In questo scenario va letta la medicina oggi.


La medicina della complessità
Cogliere tutta la complessità della medicina moderna - nonché dei suoi obiettivi, delle sue pratiche, del personale che la esercita e delle sue istituzioni - è tutt’altro che facile, anche quando si fa riferimento a un solo paese; ma quando il termine di riferimento è la scena internazionale, la difficoltà aumenta.
In medicina la “globalizzazione” può intendersi come un processo ambivalente, che da un lato tende ad accelerare i fenomeni di omologazione del sapere scientifico e dall’altro tende ad integrare le diversità di carattere ambientale, culturale, economico tuttora presenti nei diversi contesti.
E’ stato fatto notare che non si dovrebbe parlare di "globalizzazione della medicina", perché in realtà non esiste: esiste piuttosto "la medicina nel mondo globalizzato". Del resto, la stessa percezione di malattia risulta significativamente determinata dalla specificità culturale che a sua volta influenza la messa in atto di comportamenti di salute, la relazione clinica, gli outcome .
A tutt’oggi non esiste una omogeneità nell’assistenza medica erogata nei più disparati contesti socio-economici-culturali.
Se da un lato la tempestività e rapidità dell’informazione consentono oggi di veicolare enormi quantità di nozioni e novità, e la tecnologia medica ha raggiunto traguardi insospettabili ancora poco tempo fa, dall’altro esiste ancora un enorme divario tra la qualità dell’assistenza medica erogata nei vari contesti, che fa sì che i benefici derivanti dai successi scientifici non siano distribuiti in modo omogeneo.
Va tenuto presente che la medicina ha una importante dimensione sociale: mirando a migliorare lo stato di salute della popolazione, specialmente delle classi e dei popoli più svantaggiati, offre un contributo di rilievo al progresso ed al mantenimento della pace sociale ed internazionale , .
Il benessere sanitario dipende anche, se non soprattutto, da determinanti che di regola sono ritenuti estranei o poco influenti: la cultura, la condizione socioeconomica (che a sua volta influenza i comportamenti e gli stili di vita) e l’ambiente, inteso come ecosistema.
Che ci sia un legame diretto fra reddito e salute, chiamato gradiente sociale, era già stato evidenziato in passato, soprattutto mettendo in evidenza le ingiustizie e le disuguaglianze drammatiche in termini di cause evitabili di malattia, tra Paesi in via di sviluppo e Paesi più ricchi. Ma ciò che sta emergendo, anche nei sistemi sanitari dei paesi occidentali, è che esistono “gradienti di salute” anche all’interno della stessa nazione .
Differenze che si ripercuotono anche sulle cause di morte. Se a livello globale le principali cause di morte, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità , risultano la cardiopatia ischemica e l’ictus e si stima che rimarranno - almeno fino al 2020 – rispettivamente la prima e la seconda causa di morte nel mondo, nei paesi a basso reddito le persone prevalentemente muoiono di malattie infettive: infezioni delle basse vie, HIV/AIDS, le malattie diarroiche, la malaria (si stima che la popolazione a rischio di malaria sia in crescita costante e nel 2010 ha raggiunto quasi tre miliardi e mezzo, quasi la metà della popolazione globale) e la tubercolosi, che collettivamente rappresentano quasi un terzo di tutte le morti in questi paesi. Ancora, complicanze del parto a causa di prematurità e asfissia neonatale e traumi nascita sono tra le principali cause di morte.
Anche l’età della morte differisce enormemente: nei paesi sviluppati 7 ogni 10 morti sono tra le persone oltre i 70 anni. Nei paesi in via di sviluppo quasi 4 ogni 10 morti sono bambini sotto i 15 anni, e solo il 2 su 10 sono persone oltre i 70 anni.


La sfida delle patologie croniche
Stiamo vivendo nel mezzo di una epidemia pervasiva, silenziosa, a livello mondiale: il numero di persone con patologie croniche sta aumentando drammaticamente .
In parte ciò va attribuito al rischio derivante da una globalizzazione di stili di vita non salutari, ai fattori ambientali, a una rapida urbanizzazione non pianificata, ma principalmente all’aumento dell’aspettativa di vita, con conseguente invecchiamento della popolazione. Le persone con patologie croniche vivono più a lungo grazie all’efficacia delle nuove terapie.
D’altra parte, mentre molte condizioni croniche si sviluppano lentamente, i cambiamenti negli stili di vita si verificano con una velocità sorprendente.
In questo scenario ormai da tempo all’attenzione degli organismi internazionali, si avverte però che stiamo ancora praticando soprattutto una medicina per patologie acute, pur in un mondo di patologie croniche: si applica quindi il modello del XIX secolo, basato sulla cura episodica, rivolta alla singola patologia, con servizi assistenziali spesso frammentati, non coordinati, all’alba del XXI secolo.
Le patologie croniche costituiscono la principale causa di disabilità e di utilizzo dei servizi: si stima che il 78% delle risorse sanitarie a livello mondiale venga speso per la gestione delle malattie croniche . Questi dati assumono tanto più rilievo se li si considera in relazione alle evidenze dei dati epidemiologici, secondo cui tali condizioni rappresentano circa il 60% di tutte le patologie nel mondo, con una proiezione di incremento fino all’80% nel 2020, e rappresentano, globalmente, la principale causa di morte in quasi tutte le nazioni .
L'evidenza attuale dimostra però in modo inequivocabile che tali malattie sono in gran parte prevenibili, possono essere efficacemente trattate e controllate: si parla infatti di compressione della morbilità .
La prospettiva di un allungamento dell’aspettativa di vita senza un aumento costante di malattie e disabilità nella popolazione non si considera più un’ipotesi azzardata ma, al contrario, una prospettiva realistica e raggiungibile, sempre che nel corso dell’esistenza si sia mantenuto uno stile di vita più sano. Studi osservazionali, condotti in popolazioni differenti, dimostrano infatti in maniera concorde che mantenere uno stile di vita attivo con regolare esercizio fisico, astenersi dal fumo ed evitare il sovrappeso corporeo sono tutti comportamenti associati al raggiungimento dell’obiettivo di ritardare quanto più possibile la perdita di autonomia funzionale in età avanzata.
Siamo in grado di invertire la tendenza, ma abbiamo una lunga strada da percorrere, anche se l'allarme rimane. Infatti, l'epidemia supera di molto la capacità di farvi fronte da parte dei paesi a basso reddito, ma in assenza di un intervento urgente, l'onere finanziario di queste malattie raggiungerà livelli che sono al di là della capacità economica anche dei paesi più ricchi del mondo .

Le nuove frontiere
Quest’anno si celebrano i 10 anni dal completamento della sequenza del genoma umano : si parla di rivoluzione genomica.
La Medicina Genomica, un termine ambizioso e considerato quasi soltanto un’aspirazione (utopia) solo 10 anni fa, sta entrando sempre più nel continuum clinico, dalla valutazione del rischio in individui sani alla terapia “guidata” dal genoma nei pazienti con malattie complesse. Grazie ad essa - si sostiene - la medicina ha cambiato completamente il suo approccio diagnostico-terapeutico. Ad esempio, in ambito oncologico, si iniziano a curare con lo stesso farmaco tumori di organi diversi, proprio perché a livello genomico sono presenti le stesse alterazioni. In questo senso qualcuno lo fa equivalere alla medicina “personalizzata”.
In realtà, l’odierna accentuazione entusiastica sulla genomica, piuttosto che rappresentare un nuovo paradigma, una rivoluzione, si potrebbe considerare un’evoluzione, un progresso che fa seguito a diversi decenni di scoperte scientifiche e di applicazione nella clinica della genetica medica.
Inoltre, la medicina personalizzata non è certo iniziata nell'era post-genomica , né si può esaurire in essa. Un medico che praticava la professione già prima della scoperta di Watson e Crick si chiedeva se fino ad allora avesse praticato "una medicina impersonale" .
Questa nuova fase della ricerca biomedica è appena iniziata: la misura reale del suo successo è ancora da valutare. Si è detto che nella nostra epoca dominata dalla gratificazione immediata, il mondo della medicina rappresenta un’anomalia (outlier). Il percorso da una scoperta promettente ad un trattamento efficace richiede spesso un decennio o molto più.
Insieme alla genomica, si sta ponendo attenzione ad un ulteriore aspetto: l’epigenetica, cioè la sovrapposizione al genotipo stesso di un' “impronta" che ne influenza il comportamento funzionale . Comprende una serie di elementi che, a parità di corredo genetico, possono determinare differenze enormi sul piano clinico, da una condizione “tranquilla” ad una ad altissimo rischio. Ne deriva quindi l’impossibilità a codificare deterministicamente la persona sulla base dei suoi geni.
Un’altra trasformazione in ambito clinico è avvenuta già da tempo grazie all’Evidence Based Medicine (EBM), che ha spostato l’attenzione da un approccio clinico al paziente fondamentalmente basato sull’esperienza clinica, a un nuovo modello fondato su linee guide, protocolli prestabiliti, basati sulle migliori e più aggiornate prove di efficacia nel prendere le decisioni che riguardano i trattamenti da attuare per un singolo paziente.
E’ evidente che l’uso di modelli di cura standardizzati non si presta a rispondere a un bisogno che si modifica e che vede in gioco molti fattori, non frammentabili in modelli semplici . L’essere umano è una grande opera incompiuta, non in senso evoluzionistico, ma in riferimento alla storia di ogni singolo individuo: la vita costruisce continui cambiamenti dell’essere umano sul piano biologico, somatico, psicologico, relazionale, spirituale, senza mai arrivare a un punto finale, conclusivo. Infatti, nemmeno la morte rappresenta una conclusione, perché può aprire a nuove prospettive in chiave etica, spirituale e religiosa.
A sostegno di tali considerazioni, stanno emergendo altri approcci e modelli dell’agire clinico: Medicina Narrativa , Slow Medicine, System Medicine, Medicina Ecosostenibile, Patient-Centred Medicine ed altre ancora. Pur con varie differenziazioni, richiamano alla necessità di coniugare la prospettiva del medico con quella del paziente, dei suoi valori, del suo vissuto, del suo gruppo familiare e sociale di riferimento.
La narrazione della malattia non è solo la descrizione di un processo patologico, ma della vita di uno specifico essere umano in una particolare situazione . Si è detto che “II dolore che il paziente narra non coincide con il male che il medico cerca” .
Come strada per risolvere il conflitto tra l’obiettività dell’EBM e il recupero della soggettività della NBM, si è proposta una forma integrata delle due, la cosiddetta Narrative Evidence Based Medicine (NEBM) , che dovrebbe conciliare i due aspetti.
Oggi la diagnosi viene fatta spesso guardando gli esami diagnostici e non guardando il paziente (la perdita dello sguardo, non solo clinico): come fare una fotografia con il cellulare .
Ma non può esistere una “clinica globalizzata”, perché i sintomi somatici e mentali hanno modalità di estrinsecazione e vissuti differenti a seconda delle culture, delle storie collettive, degli aspetti religiosi e spirituali, che incidono sempre di più nei processi di cura (adesione ai trattamenti, fattori di resilienza e loro ricaduta sull’outcome clinico).
Le criticità attuali delle professioni sanitarie possono essere attribuite anche a diversi cambiamenti sopravvenuti. La sociologia delle professioni ha descritto molteplici trasformazioni : tra queste si possono ravvisare il crescente ruolo delle tecnologie, il moltiplicarsi di professioni complementari all’area più strettamente medica, la necessità di svolgere la professione all’interno di un’équipe, la specializzazione esasperata. Eppure i referenti concettuali della medicina - salute, malattia, vita, morte – continuano ad essere attinenti a una dimensione totalizzante e unificante: la persona intera.


La medicina difensiva
Un altro aspetto che si respira nell’ambiente sanitario odierno è che la professione sanitaria, quella del medico in particolare, è divenuta spesso una “professione in difesa”. La medicina difensiva è un problema che si segnala per dimensioni e gravità preoccupanti e certamente per un'incidenza negativa sulle condizioni necessarie ad assicurare pienamente la tutela della salute dei pazienti. Si sostiene che i cambiamenti sociali, le restrizioni finanziarie, le inerzie della professione stanno selezionando una nuova specie di medico , appunto “il medico in difesa”, specializzato soprattutto in strategie di sopravvivenza. L’accento, anziché essere posto sull’atto medico, è spostato sulle sue conseguenze, facendo cadere nell’oblio l’aspetto più propriamente umano dell’arte medica: “in medicina si sono determinate perdite dal punto di vista antropologico, che non erano obbligate, e che possono essere ancora recuperate”.

Dimensione relazionale in medicina
La cultura tecnologica ha specializzato i saperi, aumentando le possibilità di diagnosi e cura del paziente, ma spesso ne ha frantumato l’identità e quindi le relazioni interpersonali tra chi cura e chi è curato . Nella realtà, ogni domanda di cura racchiude non soltanto una semplice richiesta di aiuto tecnico in vista del recupero della salute, ma anche una esigenza di relazione. Ignorare questa dimensione, significherebbe ridurre la medicina ad applicazione di una tecnica, trasformando il rapporto tra l’operatore e il paziente in una prestazione di servizi, senza tener conto che esso è in primo luogo l’incontro con una persona .
Va detto però che, soprattutto negli ultimi anni, si assiste ad una nuova attenzione a questa prospettiva: ne sono esempi gli studi che pongono in rilievo l’importanza della relazione e della comunicazione con il paziente, della risposta soggettiva alle terapie rispetto alla casistica anonima, della dimensione spirituale, del cercare di creare un “clima terapeutico” all’interno dell’équipe di cura, degli stili di vita, ecc.


Quale medicina?
Come si può ripensare allora la medicina oggi di fronte a queste sfide? Nonostante i numerosi documenti di enti e organizzazioni pubblicati negli ultimi decenni, non si può dimenticare forse l’evento più importante riguardo alla politica della salute internazionale, quello tenutosi ad Alma Ata nel 1978. Nella Dichiarazione conclusiva , si sottolineava tra l’altro la necessità delle comunità a partecipare - attraverso un’adeguata educazione - alla promozione della salute e si invitavano le diverse figure professionali in ambito sanitario a lavorare congiuntamente per rispondere ai bisogni di salute espressi della comunità. Più che mai attuale e da considerare ancor oggi tra gli obiettivi da raggiungere.
E’ urgente la necessità di una nuova formazione clinica, che deve tener conto del cambiamento del ruolo del medico (da “unico” protagonista a membro di un team), di un approccio di valutazione multidimensionale, della continuità assistenziale.
Le caratteristiche degli operatori sanitari oggi derivano essenzialmente da tre elementi: la competenza clinica, la capacità di dialogare con gli altri esperti e quella di lavorare in squadra .
Fondamentale poi è il cambiamento del ruolo del paziente: da soggetto passivo a protagonista attivo del proprio stato di salute.

La “rivoluzione” dei pazienti
Certamente la prima tappa esige una partecipazione congiunta già a partire dal processo decisionale clinico. Ma la partecipazione dei pazienti va considerata molto più che una strada per migliorare l’efficienza in sanità. Si auspica un cambiamento radicale del ruolo dei pazienti a livello di organizzazione sanitaria, di sistemi di salute. Già le numerose associazioni di pazienti e di familiari - che stanno moltiplicandosi - riescono a portare all’attenzione degli organismi sanitari e politici alcune istanze. Nel mondo attuale, in cui l’informazione medica è divenuta accessibile a tutti, occorre divenire consapevoli che la competenza in materia di salute e malattia non è più esclusiva soltanto degli addetti ai lavori. In particolare, medici e pazienti hanno bisogno di lavorare in partnership: si sostiene che l’assistenza sanitaria non potrà migliorare fino a quando i pazienti non saranno messi in condizione di svolgere un ruolo guida nella progettazione di nuove politiche, sistemi e servizi .


Conclusione
E’ evidente che la medicina, pur avendo in sé la capacità di determinare significativamente il proprio corso, è profondamente influenzata dai costumi, dai valori, dall’economia, dalla politica delle società di cui fa parte.
Infatti, la ricerca, l’elaborazione, la diffusione e la conservazione delle conoscenze sono attività fondamentali di una civiltà. La conoscenza è memoria sociale, un collegamento con il passato, ed è la speranza per la società, un investimento per il futuro. La capacità di creare conoscenza e tradurla nella pratica è una caratteristica adattiva degli esseri umani, che arricchisce i rapporti sociali e permette di mantenere i piedi per terra, ma con la testa che vede dall’alto. Si auspica che quanti sono impegnati nelle politiche sanitarie riescano a conciliare le necessarie decisioni dell’immediato con una visione lungimirante .
E’ evidente che i sistemi sanitari sono strettamente legati a quelli economici, politici, educativi, ecc. Ne consegue la necessità di un rapporto tra le diverse componenti, di un dialogo, di un confronto continuo che aiuti a comprendere come favorire, come armonizzare le diverse esigenze. Ma un dialogo non si può attuare tra sistemi, tra organismi: il dialogo può avvenire piuttosto tra le singole persone che all’interno di essi sono impegnate a trovare risposte, strategie di miglioramento.
Nei lavori di questo Congresso ci sarà l’opportunità di un approfondimento, di un confronto tra persone di competenze diverse, provenienti da differenti contesti culturali, oltre che professionali.
Forse, la prospettiva comune da cui partire e a cui mirare, per ciascuno di noi, qualunque ruolo svolga, in qualunque parte del mondo, si può sintetizzare in questa espressione di Pablo Neruda: “Siamo la stessa pianta e non si toccano le nostre radici”. Potrebbe essere una chiave di lettura per ripensare insieme una medicina che si muove tra globalizzazione, sostenibilità, personalizzazione della cura.

 Flavia Caretta

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